mercoledì 27 marzo 2013

Fargo e il parcheggio fantasma

Ce lo vedo, Joel Coen.
Ce lo vedo, mi sembra di averlo davanti ai miei occhi proprio in questo momento: hanno appena girato la scena in cui a Lundegaard è stato rifiutato il prestito dal suocero, la troupe è ancora nel palazzone che si organizza per spostare le atrezzature, Ethan è nascosto da qualche parte a modificare qualche linea di dialogo. Joel invece si è affacciato a una finestra e guarda il parcheggio in basso. Per aiutare a figurarvi la scena vi dico che all'epoca Joel è pressapoco così:

Una specie di cavallo ibridato con Egon dei Ghostbusters

E' affacciato alla finestra, dicevo, gli occhiali appannati dal freddo e dalla condensa del pessimo caffé americano che sorseggia pensoso. E guarda il parcheggio in basso, dicevo.
I Coen, secondo chi scrive, sono tra i pochi registi yankee ad avere un senso per la profondità linguistica del significante a livello istintivo. Loro lo intuiscono cosa possa aiutare a far emergere in una pellicola ciò che non può essere detto con le parole, quel segno in più, quel particolare che riesca a fondere il descrittivo al metafisico.
E Joel guarda in basso, gli occhi piantati su quel parcheggio puntellato di piante e lampioni, pavimentato da un accecante tappeto di ghiaccio, che da dove lo sta guardando appare come un quadro irreale, astratto, fantasmatico. Lontano, in tutti i significati che questa parola può assumere.
"Se riprendiamo Lundegaard che ritorna alla macchina da quassù" pensa "Apparirà piccolo, solo e circondato da un deserto di freddo, una formica dispersa in quadro di Hopper sotto acido. E in dieci secondi di girato avremo riassunto il significato più profondo della pellicola. Non lo so perché, ma è così..."
Chiama Ethan, l'altro fratellocoen, che all'epoca è così:


Chiama Ethan, dicevo, gli spiega l'inquadratura e il piano di ripresa. Il fratello più piccolo sghignazza e accetta l'idea. A fine giornata questi due nerd che a vederli non gli affideresti neanche la tua pedina di HERO QUEST hanno tirato fuori questa cosa:


Questa cosa, hanno tirato fuori. Che è tutto FARGO, il film per intero. E' la solitudine, l'incomunicabilità, lo spaesamento morale e l'aridità d'animo dei personaggi che puntellano la pellicola; ed è freddo, neve, distacco, straniamento dal punto di vista canonico (quello politicamente corretto). Questa inquadratura è il riflesso della perdizione lugubre, muta e stanca che pervade l'intero film.

Questa inquadratura è il FILM.
Perché sì, FARGO non è altro che un parcheggio vuoto attraversato da un uomo solo che cammina tra piante morenti.

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