Moda 2012: socialismo
in salsa Hollywood
In Time, ultimo film di
Andrew Niccol, è il tipico film “alla” Andrew Niccol. Cosa
intendiamo per film “alla Niccol” è presto detto: una
pellicola che parte da uno spunto interessante (in questo caso, un
futuro imprecisato dove la moneta corrente sarà il tempo e non più il
denaro) per poi arenarsi in uno svolgimento banale e alquanto
scontato. Quasi che il regista neozelandese voglia involontariamente
seguire una sua perversa politica autoriale.
Pensiamo ai suoi film
precedenti. Gattaca (1997), S1m0ne (2002) e Lord of War (2005) sono
tutti segnati da un rilevante scarto qualitativo tra il soggetto e la sua messa in scena, con menzione speciale per l'ultimo di essi, ritenuto qua a bottega uno dei più brutti film usciti
in sala nel decennio trascorso. Mi preme sottolineare che non si
tratta di un problema di regia (comunque in linea con la media
hollywoodiana), ma di sceneggiatura, intesa come caratterizzazione
dei personaggi e – soprattutto – come sviluppo di un climax
narrativo. In questo modo, i due principali assi narrativi
“niccoliani” vanno a farsi benedire: da un lato la fantascienza
(intesa come hollywoodiana/spettacolare) muore soffocata dalla noia,
dall'altro l'umanesimo non trova personaggi così profondi da poterlo
supportare. Il risultato, quindi, non può che essere un film
sterile. Sterile, si badi bene, non brutto, come "non brutti" sono anche tutti gli altri lavori di Niccol (con la già citata eccezione di Lord of War).
La sterilità di In Time
è evidente. Riproponendo in chiave futuristica il mito tutto americano del bandito “buono”, rinuncia a conferire al proprio protagonista qualsiasi valenza metaforica e, venendo meno questa chiave di lettura, quello che rimane è il
mero stereotipo. Non riuscendo a creare una profondità in tal senso, il film manca
clamorosamente il bersaglio della denuncia sociale (quale tenderebbe
in partenza) e diventa un semplice action con storia d'amore. Guardando ad altri film celebri che trattano lo stereotipo del
bandito, meglio si comprende l'immane portata del fallimento. Sto parlando di
pellicole come, ad esempio, Gangster Story (Arthur Penn, 1967) che, raccontando le gesta di Bonnie e Clyde, evidenziava le fratture sociali scaturite
dal Vietnam oppure di Nemico Pubblico (Michael Mann, 2009),
acutissimo saggio sull'immagine e la sua rappresentazione mediale, declinato attraverso la figura di John Dillinger. E' dunque inutile
riproporre il tema “Bonnie and Clyde” (rivisitato in chiave
socialista 2012 del “occupy Wall Street”) se esso manca di
profondità analitica e non va al di là di un semplice
giovani-belli-anticonformisti-che-rubano-ai-ricchi-per-dare-ai-poveri.
Si capisce bene come il populismo e la demagogia siano di lì a un
passo.
Tutto questo pistolotto
per dire, in definitiva, che In Time non è un brutto film, ma un prodotto di media qualità che ha cercato senza riuscirvi di fare il passo più lungo della gamba, rimanendo incagliato in quella straniante zona che sta tra l'autorialità e il pop-corn: e così, allo spettatore non rimane che l'amaro in bocca per quello che il
film avrebbe potuto essere ma non è stato.
Voto: **
D.M
Ndg [Nota di Gratta]: Stento ancora a comprendere tutta questa "politica dell'autore" che si è creata intorno a Andrew Niccol. Non vedo un motivo per cui il suddetto regista debba essere analizzato come un maestro e non come un qualsiasi altro mestierante. Mistero. Altra cosa che non capisco. Justin Timberlake. La sua faccia. Gli schiaffi. La sua faccia e gli schiaffi.
Ndg [Nota di Gratta]: Stento ancora a comprendere tutta questa "politica dell'autore" che si è creata intorno a Andrew Niccol. Non vedo un motivo per cui il suddetto regista debba essere analizzato come un maestro e non come un qualsiasi altro mestierante. Mistero. Altra cosa che non capisco. Justin Timberlake. La sua faccia. Gli schiaffi. La sua faccia e gli schiaffi.