giovedì 28 marzo 2013

Fargo/2 - Nuove, paratattiche leve

Il blog si arricchisce di nuove firme, che timidamente slatentizzano la propria attitudine a scrivere sul cinema, e lo fanno con risultati assai rilevanti, anche se momentaneamente abbastanza sintetici. Mica è un problema, che la sintesi è un pregio: è a noi intellettualoidi con la forfora che piace sbrodolare per cartelle e cartelle alla ricerca di un appiglio per chiudere le nostre ermetiche super-cazzole.
Infatti già mi sto perdendo nel più turpe vaniloquio. Il primo redattore 2.0 che vi presento è Giacomo Angiolini, che oggi vi presenta la sua stringata recensione su FARGO. Lascio la parola a lui!


Locandina più bella di sempre???


(Oggi vorrei essere breve e arido, come i dialoghi del film)

Che dire di FARGO dei grandissimi fratelli Coen?

Probabilmente che il film se la gioca tutta lì, nella solitudine dei protagonisti che vivono in posti alienanti, nell'incomunicabilità di sentimenti ed emozioni, nella semplicioneria e stupidità di individui cresciuti in luoghi desolanti, i classici personaggi dei Coen presi a calci nel culo dal destino per tutta la durata della pellicola e al tempo stesso avidi, meschini, bugiardi, frustrati da una vita di merda priva di alcuna alcuna possibilità di riscatto. I Personaggi sono magistralmente caratterizzati e vivono grazie ad ottimi attori, i paesaggi sono azzeccati e a la storia fila via liscia in mezzo ad un mare di violenza gratuita, inutile, assurda. L'Italia non sarà il Paradiso, ma nascere in North Dakota deve essere molto peggio, fidatevi.

mercoledì 27 marzo 2013

Fargo e il parcheggio fantasma

Ce lo vedo, Joel Coen.
Ce lo vedo, mi sembra di averlo davanti ai miei occhi proprio in questo momento: hanno appena girato la scena in cui a Lundegaard è stato rifiutato il prestito dal suocero, la troupe è ancora nel palazzone che si organizza per spostare le atrezzature, Ethan è nascosto da qualche parte a modificare qualche linea di dialogo. Joel invece si è affacciato a una finestra e guarda il parcheggio in basso. Per aiutare a figurarvi la scena vi dico che all'epoca Joel è pressapoco così:

Una specie di cavallo ibridato con Egon dei Ghostbusters

E' affacciato alla finestra, dicevo, gli occhiali appannati dal freddo e dalla condensa del pessimo caffé americano che sorseggia pensoso. E guarda il parcheggio in basso, dicevo.
I Coen, secondo chi scrive, sono tra i pochi registi yankee ad avere un senso per la profondità linguistica del significante a livello istintivo. Loro lo intuiscono cosa possa aiutare a far emergere in una pellicola ciò che non può essere detto con le parole, quel segno in più, quel particolare che riesca a fondere il descrittivo al metafisico.
E Joel guarda in basso, gli occhi piantati su quel parcheggio puntellato di piante e lampioni, pavimentato da un accecante tappeto di ghiaccio, che da dove lo sta guardando appare come un quadro irreale, astratto, fantasmatico. Lontano, in tutti i significati che questa parola può assumere.
"Se riprendiamo Lundegaard che ritorna alla macchina da quassù" pensa "Apparirà piccolo, solo e circondato da un deserto di freddo, una formica dispersa in quadro di Hopper sotto acido. E in dieci secondi di girato avremo riassunto il significato più profondo della pellicola. Non lo so perché, ma è così..."
Chiama Ethan, l'altro fratellocoen, che all'epoca è così:


Chiama Ethan, dicevo, gli spiega l'inquadratura e il piano di ripresa. Il fratello più piccolo sghignazza e accetta l'idea. A fine giornata questi due nerd che a vederli non gli affideresti neanche la tua pedina di HERO QUEST hanno tirato fuori questa cosa:


Questa cosa, hanno tirato fuori. Che è tutto FARGO, il film per intero. E' la solitudine, l'incomunicabilità, lo spaesamento morale e l'aridità d'animo dei personaggi che puntellano la pellicola; ed è freddo, neve, distacco, straniamento dal punto di vista canonico (quello politicamente corretto). Questa inquadratura è il riflesso della perdizione lugubre, muta e stanca che pervade l'intero film.

Questa inquadratura è il FILM.
Perché sì, FARGO non è altro che un parcheggio vuoto attraversato da un uomo solo che cammina tra piante morenti.