giovedì 7 febbraio 2013

Recensioni - The Grey



Liam Neeson. Sessant'anni che si vedono tutti, uno sguardo da tonno senza pace e un fisico e delle movenze da guida del CAI. 

Liam Neeson. Una grande carriera presa a mazzate nell'ultimo decennio dalla continua, cieca e auto-lesionistica scelta di copioni sbagliati che in confronto Nicolas Cage se la tira peggio di Daniel Day-Lewis. Un uomo dalla credibilità prossima allo zero assoluto, specie se il film che ci si approccia a visionare tratta di tizi americani che si devono salvare da un branco di lupi affamati dopo essere scampati a un disastro aereo nel bel mezzo dell'Alaska più stronza. Li chiamano Survival Movie, oggigiorno, questi films, e quando me lo dicono per un attimo penso che l'accenno alla sopravvivenza sia riferito a me che il film lo devo vedere. Scherzo, non lo penso, volevo solo fare il simpaticone scrivendolo.


Liam Neeson. Attore. Joe Carnahan. Regista. Un duo di adulti che è responsabile di aver portato nelle sale quel capolavoro dello schifo assoluto che è la versione cinematografica dell' A-Team". Ora la strana coppia ci riprova, e noi non ci fidiamo manco per un secondo.


Liam Neeson. Una persona apparentemente sana di mente (e adulta, lo ripeto) che dopo aver visionato il montaggio definitivo di Taken, di cui è protagonista e che in confronto il sopracitato A-TEAM pare girato da Walter Hill, ha avuto il tatto di firmare per il sequel. Lo so, lo so: i soldi, che TAKEN è uno dei successi planetari più inspiegabili della storia del cinema (magari non l'avete visto, ma date un'occhiata agli incassi su rottentomatoes). I soldi, dicevo. Però volevo dire 'sticazzi, perché c'è un limite anche allo schifo assoluto, e chiamerò questo invisibile confine "limite A-team": ecco, TAKEN supera di dieci tacche questa triste frontiera, assestandosi nello scalino sottostante di qualità del cinema che in questa sede chiamerò "Crimine contro l'umanità".


Insomma, Liam Neeson, un attore in declino sull'orlo di diventare un caso umano.

E Joe Carnahan, un ex-giovane di belle speranze sull'orlo di diventare il male assoluto.
Due personaggi artisticamente border-line che si ritrovano nell'Alaska più stronza, ovvero il luogo border-line per eccellenza se sei un americano tonto. E questa è la prima delle innumerevoli metafore di "The Grey" (nota: vorrei puntualizzare che le metafore nei film ce le mettiamo noi, eh, mica ci sono per davvero!).
Dicevo, si prospetta il disastro.
Si prospetta il ridicolo e si prospettano le risate col dito puntato verso il faccione della guida del CAI.
E invece succede l'imprevisto.
Succede che...



"It's a sad and beautiful world", diceva il mai abbastanza compianto Mark Linkous.
"It's a sad and beautiful world", diceva in Daunbailò Roberto Benigni nella sua prima vita, che era quella in cui non ti veniva voglia di impalarlo con un pentacolo ogni volta che apriva bocca.
Insomma, è un mondo triste e bello,  e se il fatto che sia triste non è per un cazzo una novità, a sorprenderci c'è il raro rivelarsi dinnanzi ai nostri sguardi stupiti di una sorpresa positiva e inaspettata: infatti, per chiudere finalmente quei puntini di sospensione stilati in maiuscoletto più sopra, succede che "The Grey" è un gran bel film, eccezionale forse, se si considera quanto ero partito prevenuto. E Neeson non cerca di fare il cazzuto di azione (oddio, forse un pochino si) e si comporta esattamente come si comporterebbe una guida del CAI leggermente più con le palle  della media delle guide del CAI. Ed è questo a renderlo REALMENTE eroico, il suo essere personaggio prima che pupazzo d'azione.

Film anomalo, questo "The Grey", una specie di frullato di vari modi di sentire cinema pescati dai più disparati ambiti: abbiamo la secchezza nei rapporti tra i protagonisti di un Boorman o un Hill, la descrizione della spietatezza della natura che potrebbe appartenere a un Herzog (perdonami Werner, ma l'ho pensato e ora l'ho pure scritto) e una profonda carica emotiva (con tanto di flashback) sommata a una propensione ai metaforoni uomo/natura/Dio che ci si aspetterebbe da Terrence Malick. Il tutto declinato su una solida base da survival moderno che grazie alle specifiche sopraelencate apre le ali e vola alto.
Il pericolo di un pedestre tentativo di presentare un "grandi autori remix" è sempre dietro l'angolo e la possibilità che la barca affondi è tangibile: ma non accade, miracolo, i due adulti sull'orlo del baratro portano a casa un film notevole, perché a impastare la miscellanea di stili che forgiano la pellicola abbiamo l'ingrediente più importante di tutti,  la sincerità. 

it's a sad and beautiful world

La sincerità di una trama lineare e priva di fronzoli, la sincerità e la profonda semplicità della declinazione del concetto di "voglia di sopravvivere", la sincerità della guida del CAI (che stavolta sembra crederci davvero) e di un cast di comprimari per una volta convincente. Insomma, un'operazione del tutto riuscita. Se poi siete degli zoologi e avete voglia di rompere i coglioni sul fatto che i lupi si comportano come in un fantasy, avete sbagliato film: perché "The Grey" è un film di metafore, i lupi sono metaforici e la loro interpretazione trascende su tutta la linea la scientificità e il realismo. Quindi abbassate a icona WIKIPEDIA e riaprite pure YOUPORN. 

Sconsiglio vivamente il film a chiunque sia in cerca di una pellicola in cui Liam Neeson fa a botte coi lupi e vince, perché la cosa non accade mai e un pubblico del genere potrebbe sentirsi truffato. E' altresì intimato a tenersi lontano chi odia il lirismo drammatico e le scene che esso genera, i cosidetti Malick Moment, che sono uguali ai Magic Moment con la differenza che invece che ridere si piange.
Il finale, per esempio, è un enorme Malick Moment dai tempi dilatatissimi, e l'ellissi su cui si chiude è quanto di più azzeccato si potesse sperare da un film del genere. Insomma, applausoni.

Ecco. Non c'è speranza.

io è mezzo film che ti dico che non c'è speranza.

P.S. Il cinema è linguaggio, traducibile da visivo a scritto nei più disparati modi. Un'inquadratura è infatti sezionabile in complementi, verbi, soggetti allo stesso modo in cui essa è girata a partire da una sceneggiatura scritta. Insomma, avete presenti quegli schifosissimi libri tratti dai film? Una cosa del genere. Per esempio, se vediamo un lupo che corre nel bosco, possiamo individuare il soggetto nel lupo, il verbo nel correre e il complemento di luogo nel bosco. Non è una traduzione obbligatoria, sia chiaro, però certamente sarà la più diffusa e istintiva. IL LUPO CORRE NEL BOSCO.
Ecco, in "The Grey" c'è una scena in cui Liam Neeson, ormai snervato e rassegnato, si mette a parlare al cielo e in un paio di campi e controcampi che sono puro linguaggio capiamo che egli sta parlando con Dio. LIAM STA PARLANDO CON DIO. Insindacabile. E si incazza da morire, tanto che a un certo punto gli urla un secco ed eloquente FIGLIO DI PUTTANA, così, tra i denti, in mezzo all'Alaska più stronza. Ecco, siamo sulla linea dell'OFFSIDE della bestemmia, in fuorigioco dubbio, con la testa che non si sa se è avanti o indietro rispetto all'ultimo terzino. Il film, a livello visivo, ci urla a pieni polmoni che il protagonista sta parlando con Dio e, non appena anche gli spettatori che stavano limonando lo hanno compreso, ecco che parte un magnetico FIGLIO DI PUTTANA che strappa un applauso mentale a mezza platea.
La scena migliore di un ottimo film.

LA FRASE:
"Figlio di puttana!" (Liam Neeson a Dio)


                  
Il Trailer è ingannevole, guardatelo con gli occhi di quelli 
sgamati che "già me l'hanno detto i blog..."

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